Testate giornalistiche, associazioni, bandi di ogni genere (dalla comunicazione alle aree sosta per camperisti, dalla mobilità sostenibile alle reti Wi-Fi gratuite): si sta facendo di tutto per promuovere il turismo nei borghi storici italiani, investendo risorse ingenti a tutti i livelli di pubbliche amministrazioni (e a volte anche coinvolgendo i privati) confidando in un ROI non solo economico, ma soprattutto sociale. Riqualificare l’offerta turistica di un borgo è, infatti, soprattutto lavorare per creare opportunità di impiego che consentano di rimanere a vivere in quel borgo.
Partendo da questo presupposto, si possono analizzare i motivi per i quali far vivere i borghi storici, mantenerli adeguatamente popolati garantendo un ricambio generazionale, renderli appetibili per alcuni target turistici in particolare stranieri, vale effettivamente la pena. Scrivo questo perché, tranne alcuni casi particolarmente fortunati, gli investimenti non giungono ad obiettivi economici significativi. Capendo il perché, possiamo invertire la tendenza: la concorrenza è elevatissima (oltre 8000 Comuni italiani dei quali la maggior parte sono, o si sentono, o si vogliono mostrare come borghi), le competenze locali troppo spesso scarse o scarsamente organizzate e finanziate, i target interessati hanno consistenza limitata.
La concorrenza dei piccoli Comuni italiani
Sul tema della concorrenza, definendo i borghi come i Comuni con meno di 5000 abitanti, solo in Italia ce ne sono quasi 5600. Si tratta di 5600 agguerriti piccoli Comuni che lottano come nei tempi antichi per la visibilità, non avendo forza militare allora né, a volte, volontà politica oggi, per unirsi. Credevano nel mecenatismo allora, investono in recuperi di beni storico-culturali oggi. In poco meno di 1000 anni abbiamo imparato come l’unione fa la forza, sempre. Soprattutto in ambito turistico dove emergere singolarmente è difficile, mentre farlo di gruppo (precisamente “di destinazione”) è la vera grande opportunità. Il borgo diventa attrazione turistica quando fa parte di un territorio esso stesso attrattivo, accogliente, accessibile. Non ce n’è uno che possa vivere da sé. Prendiamo ad esempio Gradara (PU): la Rocca raccontata da Dante senza l’ingresso dell’A14 a due passi e la ricettività delle vicine Gabicce Mare e Cattolica sarebbe un’escursione di prossimità. Oppure San Gimignano, se la cerchiamo nei cataloghi dei tour operator americani, è sempre inclusa in tour brandizzati Toscana, soggiornando a Firenze e in escursione verso Siena. Oppure Positano, perla della “Costiera Amalfitana”, godendo di un posizionamento strategico privilegiato all’interno della comunicazione e del marketing di quella destinazione estesa. Fare rete, per i borghi, significa diventare “significativi”, esistere come meta turistica.
Il problema dello spopolamento
Altro problema centrale per i borghi è, generalmente, lo spopolamento. In alcuni casi derivante dalla mancanza di opportunità lavorative e professionali, in altri dall’eccessiva opportunità di affittare le proprie residenze ai turisti piuttosto che continuare ad abitarle. In entrambi i casi ci si allontana dai borghi e quindi gli stessi perdono quelle menti imprenditoriali, creative, organizzative e manageriali che potrebbero farli effettivamente sviluppare. Sia come meta turistica ma in generale come prospettiva di lungo termine. Invece rimangono gli anziani che vivono prevalentemente di pensioni, i giovani con poche prospettive ed i sognatori. Su questi ultimi si può certamente lavorare, ma il compito più arduo di un’amministrazione di un borgo è quello di renderlo attrattivo per giovani famiglie desiderose di far crescere i propri figli in contesti meno urbanizzati e più genuini, a coppie di una certa età e con buona capacità di spesa desiderosi di una vita ai ritmi di “chi se lo può permettere” ed infine, e soprattutto, per coloro che vogliono investire nella fornitura di servizi turistici di qualità.
Contate quanti borghi diventano meta turistica quando nel territorio si apre una struttura ricettiva d’eccellenza (Sextantio – Albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio, AQ; Eremito a Parrano, PG) oppure una struttura ristorativa d’eccellenza (Dal Pescatore, 3 stelle Michelin, Canneto sull’Oglio, MN; Villa Crespi, 2 stelle Michelin, Orta San Giulio, NO). Oppure di una storia d’eccellenza da raccontare come a Solomeo (PG), borgo del cachemire e dell’armonia creato intorno alla intuizione imprenditoriale di Brunello Cucinelli. Tutte queste eccellenze sono giunte in questi remoti borghi perché hanno trovato le persone giuste, del posto o al massimo dei dintorni, che potevano collaborare a rendere unico il loro progetto. Senza questi collaboratori non ci sarebbero eccellenze e nemmeno borghi turistici ma solo borghi che si promuovono ma non “muovono” flussi significativi. Investire sulla formazione dei residenti paga sempre anche se a lungo termine.
I target dei borghi italiani
Infine, i target di clientela: dal camperista all’escursionista (spesso proveniente dalle località balneari nei giorni di brutto tempo), dall’appassionato specificatamente dei borghi a chi cerca un luogo dove vivere, temporaneamente o per sempre. È questa la storia che sentiamo spesso raccontare (soprattutto dagli stranieri): sono passato di lì, me ne hanno parlato, mi ha conquistato, sono rimasto. Stranieri che hanno disponibilità economica, innamorati dell’italian lifestyle inteso come ben vivere quotidiano, arrivano, acquistano, ristrutturano e fanno accoglienza. Un property manager della provincia di Siena gestisce 15 ville immerse nel verde e un agriturismo solo per clienti danesi (5,8 milioni di abitanti), un tour operator incoming nel Salento gestisce (-va) solo ville sul mare e solo per clienti russi.
Scegliere quale tipo di turista portare nel borgo è strategico, ancora prima di farne la promozione, ancora prima di decidere se il turismo può o meno essere una leva di sviluppo. Lo scrivo perché la dipendenza dalla stagionalità è molto elevata, soprattutto per la clientela italiana, e se non si pianificano attività e servizi attivi tutto l’anno si avranno solo turisti di passaggio e residenti, anch’essi, di passaggio.
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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini
Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.