LA BIENNALE DEL WHITNEY MUSEUM A NEW YORK

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05 Apr 17 LA BIENNALE DEL WHITNEY MUSEUM A NEW YORK

L’identità nazionale, i confini e la riflessione sulla storia del Paese sono fra i temi della Biennale del Whitney Museum: 63 autori e nessuna megastar tra americani che vivono all’estero e stranieri attivi negli Usa.

Resterà aperta dal 17 marzo all’11 giugno la 78ma edizione della Biennale d’arte contemporanea del Whitney Museum. La biennale, inaugurata nel 1932 come rassegna annuale di arte americana dal fondatore del museo Gertrude Vanderbilt Whitney, «cerca di proporre un’istantanea del movimento», spiega Mia Locks, curatrice indipendente che ha lavorato per questa edizione con Christopher Lew, curatore associato al Museo.

I curatori puntano a una definizione piuttosto ampia di arte «americana»: la mostra comprende artisti di diverse nazionalità che vivono negli Stati Uniti e artisti americani che vivono all’estero. Alcuni dei temi della biennale saranno la violenza, le diseguaglianze e l’approccio degli artisti al loro lavoro in un’epoca di incertezze. Come spesso accade alla Biennale del Whitney, la riflessione verte anche sull’identità americana o di un’arte americana. Secondo Lyle Ashton Harris, uno degli artisti partecipanti, «il concetto di America è molto attuale ed è opportuno e importante ampliarne la definizione. Il concetto di identità è caratterizzato da una grande fluidità. L’ho vissuto in prima persona l’anno scorso quando “Once, Once” (un’opera del 2016 legata all’installazione di Harris alla biennale, Ndrè stata esposta alla Biennale di San Paolo; mi sono chiesto come avrebbe potuto adattarsi a quel contesto. E lo ha fatto piuttosto bene. Si tratta di un’opera della metà degli anni Ottanta ed è ancora attuale. La specificità culturale è locale, ma ha anche un obiettivo da raggiungere. Il riconoscimento oltre i confini: è questo per me che decreta il successo di qualcosa».

Per John Divola, altro artista invitato, «non esiste nulla di oggettivo, è tutta questione di opinioni e prospettive. Il concetto di “essere americano” è in perenne mutazione, soprattutto in questi ultimi tempi. C’è stato chiaramente un forte cambiamento anche con Obama. Non sono incoraggiato dai recenti avvenimenti, ma è normale che un Paese abbia i suoi alti e bassi. Come fotografo, la mia opera è sempre legata a una situazione specifica (tempo, luogo e circostanza) ma non può fare altro che essere influenzata dal flusso istantaneo internazionale di immagini e informazioni».

Si tratta della più grande Biennale del Whitney di tutti i tempi in termini di dimensioni; occupa infatti circa i due terzi dello spazio espositivo del museo.



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