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19 Mar 23 INTERVISTE FUORI DAL COMUNE: ITALO TOMASSONI, DIRETTORE ARTISTICO CIAC DI FOLIGNO
Italo Tomassoni è tra fondatori del CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, di cui è il direttore artistico dall’inaugurazione nel 2009.
Laureatosi in Giurisprudenza presso l’Università di Perugia nel 1962, ha intrapreso, parallelamente a quella di avvocato, una brillante carriera di critico d’arte che in poco tempo lo ha portato a confrontarsi con numerosi artisti di spicco nel panorama italiano e internazionale. Tra le sue numerose attività in ambito culturale, si segnalano le collaborazioni con gli artisti Alberto Burri e Gino de Dominicis. In particolare: a partire dagli anni ’70 lavora con Alberto Burri alla costituzione della Fondazione Burri, di cui è stato consigliere di amministrazione e membro del comitato scientifico, della commissione autentiche e del comitato esecutivo. Nel 1974 inizia la sua collaborazione con Gino de Dominicis e la raccolta dei materiali che ne costituiranno l’Archivio, fondato nel 1998.
Gli abbiamo chiesto la sua visione sul CIAC a Foligno e i progetti in corso per questo importante luogo di arte contemporanea in Umbria.
Il CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) di Foligno è un importante polo di arte contemporanea in Umbria. Cosa lo caratterizza?
La convinzione che, attraverso l’arte contemporanea, si può capire la vita. È una didattica nel senso più nobile del termine. Con una serie di mostre sono state ospitate al CIAC le personalità più significative dell’arte contemporanea occidentale dell’ultimo secolo. Una grande rassegna sul Gruppo Gutai e Shōzō Shimamoto, nonché la mostra fotografica di Daido Moriyama ha aperto una significativa finestra anche sulla contemporaneità orientale. A Foligno l’esperienza del CIAC è inaugurale, perché nella sua storia non si era mai data un’istituzione destinata all’arte contemporanea. Con lungimiranza la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno ha messo in cantiere alla fine del XX secolo un progetto che poteva rivelarsi un’utopia e che oggi è divenuto una realtà identitaria riconosciuta in Italia e fuori. A partire dalla sua architettura, che marca un segno forte di tensione culturale lontana dall’Umbria tradizionale legata all’antico, il CIAC comprende lo sede museale principale in pieno centro storico destinata alle mostre temporanee e alla conservazione della Collezione Permanente iniziata nel 2018. Nel polo dell’ex chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, inaugurato nel 2011, è custodita la monumentale opera Calamita Cosmica di Gino de Dominicis, acquisita dalla Fondazione al proprio patrimonio nel 2004.
Parliamo ora, direttore, della politica per le mostre al CIAC. Che linea è stata seguita in questi anni?
Sono state ordinate nel tempo molte mostre collettive: “Calamitati da Gino” (con artisti che hanno avuto a vario titolo relazioni poetiche con l’opera di Gino de Dominicis); “Ricognizione 2014” (che ha tracciato una mappatura degli artisti umbri o che hanno l’Umbria come luogo significativo di riferimento); “Il corpo metafora di un’esperienza”; “Aspetti dell’Arte Italiana del XX Secolo”; ”Omaggi alla divina Commedia”, “Manufatto in situ”, “Una storia nell’arte – I Marchini, tra impegno e passione” nel 2022 (mostra ordinata in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca) concernente la collezione della famiglia Marchini con opere di Picasso, Leger, Morandi, Balla, Scipione, Savinio, De Pisis, Mafai, Donghi, Pirandello, Magritte, Licini, Dix, Grosz, Kirchner, Manzù e tantissimi altri artisti anche contemporanei (Kounellis, Pisani, De Dominicis, Castellani, Accardi, Horn, Garutti, Lim, Pietrosanti, Zaza, Jodice, Di Stasio, Levini ecc. ecc.). Importante anche la collettiva fotografica “Flags of America”.
Quanto ai protagonisti del contemporaneo, nella convinzione che nell’arte c’è ancora posto per il concetto di genio, abbiamo realizzato mostre personali di Giuseppe Uncini, Luciano Fabro, Hermann Nitsch, Julian Schnabel, Pino Pascali, Ivan Theimer, Carlo Maria Mariani, Giuseppe Gallo, Chiara Dynis, Vincenzo Agnetti, Giuseppe Terragni, Gabriele Basilico, Edward Weston, Sandro Chia, Omar Galliani, Ugo la Pietra, Giuseppe Stampone ed altri testimoni della contemporaneità, lungo differenti tracciati e direzioni di poetica, sempre senza che mai la curatela piegasse al suo punto di vista le opere degli artisti.
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Quali esposizioni sono in programma per il 2023 al CIAC?
In aprile sarà inaugurata una mostra dedicata a Gian Maria Tosatti, l’artista che ha rappresentato l’Italia alla Biennale d’Arte di Venezia del 2022. Per il CIAC Tosatti realizzerà un’opera specific site conformata allo spazio del Museo. A fine 2023 inaugureremo una personale dedicata all’americano Paul Jenkins anche per celebrare il centenario dalla sua nascita. Artista della generazione informale di Pollock, Kline, Tobey, ha fatto della pittura d’azione l’esaltazione più autentica della forza espressiva del colore. Per l’estate stiamo lavorando a un progetto di mostra fotografica.
Lei è l’autore del libro appena pubblicato “Gino de Dominicis e Calamita Cosmica. Una storia immobile”. È la prima monografia su questa celebre scultura monumentale e si attendeva da molto. Ci può presentare le caratteristiche del libro?
Il progetto iniziale era di realizzare una guida esplicativa dell’opera Calamita Cosmica, poi il libro si è trasformato in un saggio, senza pretese esaustive, sulla vita e l’arte di Gino de Dominicis, culminante nel capolavoro “Calamita Cosmica”. Il libro illustra brevemente la personalità di un maestro passato alla storia senza transitare per la cronaca, indifferente al circo mediatico, presente con la sua assenza e che ha criticato la modernità attraverso i mezzi della modernità stessa. Leggendarie le sue surreali e apodittiche interviste televisive, e le sferzanti dichiarazioni rilasciate ai giornali per criticare la modernità e irridere le mode vigenti in tanta arte contemporanea.
Calamita Cosmica è stata la prima opera di quella che sarebbe divenuta la Collezione Permanente della Fondazione. Nel libro si ricordano i trasferimenti a fini espositivi del capolavoro nei luoghi più prestigiosi italiani (MAXXI Roma, Palazzo Reale Milano, Forte Belvedere Firenze, Museo di Capodimonte Napoli, Mole Vanvitelliana Ancona) e internazionali (La Reggia di Versailles a Parigi, Il Museo Grand Hornu a Mons Bruxelles, Le Magazin di Grenoble dove l’opera fu esposta per la prima volta posta a confronto con la divinità sumera Warka). Il visitatore, dal momento in cui passa la soglia dello spazio che ospita la gigantesca creatura in un contesto che lega indissolubilmente scultura e architettura, diventa protagonista di un climax spirituale ed ermetico che lo accompagna in un solitario viaggio immobile all’interno di una dimensione che sigilla un segreto.
Calamita Cosmica, come evidenzia appunto lei, è una delle opere d’arte più enigmatiche del nostro tempo. Può dare, direttore, un suo consiglio al visitatore che viene ad ammirarla, cosa non deve sfuggire?
Visitando la Chiesa non si deve perdere l’occasione di vivere l’atmosfera del miracolo che è una delle dimensioni ricorrenti dell’arte di Gino de Dominicis. Un artista che ha spalancato orizzonti ignoti con opere che fermano il tempo e ha reso invisibile la materia, ha immaginato di far volare gli uomini, di trasformare i pesci in uccelli e di far diventare quadrata anziché rotonda l’onda che si genera gettando un sasso nell’acqua; e che, sopra ogni cosa, ha augurato a tutti l’immortalità del corpo. Come ho avuto modo di scrivere, Immaginata a supporto figurale di mitologie remote, Calamita Cosmica conferma che il nuovo è fondato sull’antico, che la vista può coincidere con la visione e che ogni novità, in arte, porta con sé un ritorno potente della memoria e del rimosso.
Intervista a cura di Sara Stangoni
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