Pubblicato in Interviste, News
18 Set 23 INTERVISTE FUORI DAL COMUNE: Lucia Spolverini, Direttrice Museo Le Carceri di Asiago
Operatrice didattica e guida museale, critica d’arte, ha lavorato presso il Museo Archeologico Nazionale di Venezia. Attualmente è direttrice del Museo Le Carceri di Asiago (VI).
Il Museo Le Carceri è frutto della ristrutturazione delle vecchie prigioni della città di Asiago. Direttrice Spolverini, quali fasi hanno caratterizzato la storia di questo edificio?
La costruzione dell’edificio, nato come Carceri Mandamentali degli allora antichi “Sette Comuni” dell’Altipiano, risale al 1897; sopravvissuta alla Prima Guerra Mondiale, la struttura, architettonicamente rilevante soprattutto nel suo ingresso principale, è attorniata da un’alta muraglia, crollata in parte a causa del terremoto del 1978. Le Carceri, dagli anni ’70. cessarono la loro funzione e alla fine degli anni ’80. dopo varie ipotesi sul riutilizzo della struttura, cominciò a profilarsi l’idea di realizzare un “museo etnografico” che raccontasse la storia e il passato di Asiago e del suo Altipiano. Divenuto proprietà della Città di Asiago, l’edificio, grazie ad un’attenta opera di manutenzione e consolidamento in alcune sue parti, è stato restaurato nel 2001, mantenendone inalterato il suo aspetto architettonico ed originale, rappresentando così un “museo del territorio facente parte del nostro ricco patrimonio storico-architettonico”. Dal 2005 ad oggi questo antico spazio ospita puntualmente numerose suggestive esposizioni d’arte che spaziano tra vari ambiti e tematiche culturali, storiche, artistiche. La sua conformazione interna, rimasta identica all’originale, consente di organizzare diversità di allestimenti ed installazioni, distribuendo opere artistiche anche nelle stanze che un tempo erano le antiche celle.
Qual è oggi il compito del Museo Le Carceri?
Il Museo Le Carceri di Asiago ha la necessità di mantenersi e “vivere” nel tempo: è un organismo che ha bisogno di spazio fisico per crescere, legarsi e integrarsi sempre più con i Musei del territorio locale, provinciale e regionale al fine di svilupparsi e di funzionare al meglio per far “fruire la cultura tra la popolazione”. Deve identificarsi quale “punto di riferimento e di raccordo” per gruppi di visitatori, istituzioni scolastiche, associazioni culturali (Università adulti – anziani, cooperative sociali di supporto ai portatori di handicap, centri ricreativi, enti e associazioni).
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Quali sono gli obiettivi e il ruolo socio – culturale del Museo Le Carceri per Asiago?
Il Museo Le Carceri ha raggiunto “finalità di educazione e di studio” dove l’apprendimento del concetto dell’esposizione museale è stimolato puntualmente da attività didattiche di approfondimento, come incontri, seminari (inseriti secondo tema di mostra), visite guidate e laboratori ludico-didattici, al fine di riconoscere nel Museo Le Carceri “un’attività ricettiva” rivolta a un’utenza di vario livello (dal bambino della Scuola dell’Infanzia, all’alunno della Scuola Primaria – Secondaria di 1° grado, agli studenti degli Istituti Superiori, all’adulto), ponendo un’attenzione considerevole alla fascia d’età e al grado d’istruzione di ogni singolo utente. Un Museo è definito “tale” quando al suo interno c’è il visitatore, e quando è fruibile. Non deve esistere “solo e soltanto per conservare ed esporre una mostra o una collezione”: deve arricchire la cultura dell’utente, e per fare ciò dev’essere pensato e costruito intorno all’uomo, pensato e costruito per il visitatore sia piccolo sia adulto. Innegabile quindi il ruolo socio – culturale del Museo Le Carceri, spazio storico il cui potenziale risiede nelle diverse attività formative proposte per ogni mostra. Deve essere considerato “libro e mezzo di conoscenza – comunicazione tra visitatore e quanto viene a trovarsi esposto”, come fosse un filo conduttore che lega questi due elementi. Deve essere una struttura permanente, aperta al pubblico attraverso esposizioni di differenti materiali ed interessi per soddisfare i gusti di tutti (oggetti storici, opere d’arte,…) allo scopo essenziale di un approfondito studio all’educazione. Non sussiste un Museo privo di comunicazione didattica, e il Museo Le Carceri in tutti questi anni ha sempre puntato su questo “dialogo didattico” fin dal 2008, quando ho portato qui la mia esperienza nazionale ed internazionale. Ci vuole un’organizzazione complessa e una completa formazione professionale di base per essere in grado di svolgere al meglio tutte le competenze che vengono richieste oggi in un Museo. Il Museo “deve lavorare per una divulgazione e un coinvolgimento diretto con il pubblico”, sia sul piano pratico (perché un Museo funzioni occorre denaro, per allestire gli ambienti, per pagare il personale, per la manutenzione e il controllo delle opere in esposizione, per gli stessi materiali di informazione – divulgazione dell’evento – area marketing) sia sul piano culturale. È questa l’“ETICA” del Museo Le Carceri. Gestire un Museo implica tener conto dell’ambito amministrativo, finanziario, gestionale e delle pubbliche relazioni, delle responsabilità di questa istituzione e dell’impatto dei suoi processi sulla società. Ed il Museo Le Carceri non sottovaluta tali fondamentali ambiti gestionali. Deve proporre progetti educativi, curarne la divulgazione con associazioni ed enti vari ed istituzioni scolastiche locali, provinciali e regionali. La crescita del Museo deve riflettersi anche nello sviluppo di raccolta fondi, promozione e marketing trovando finanziatori e sponsor per progettare sempre più iniziative espositive per attirare il pubblico, nonché contribuirne al finanziamento del Museo stesso (es.: vendita di oggetti legati al Museo, ideazione di conferenze ed eventi che richiamino la tematica di mostra, …). Ultime, ma non meno rimarchevole, sempre per colui che si trova a gestire una realtà museale sono “l’interesse e l’attenzione per la struttura fisica del Museo”, per gli spazi, gli impianti, gli allestimenti. È un’attività molto complessa, di grandissima responsabilità, perché deve garantire che gli ambienti e tutti gli impianti (illuminazione, climatizzazione, sistemi di sicurezza come videosorveglianza, sistemi di allarme, impianti antincendio, sistemi di evacuazione, impiantistica, rete informatica wi-fi, etc.) siano funzionanti quanto adatti alla valorizzazione e conservazione delle opere esposte, al fine ultimo di offrire le condizioni di protezione e tutela verso all’afflusso del grande pubblico.
Attualmente è in corso la mostra “I Pittori della realtà. Tra antico e moderno”. Presenta una significativa stagione dell’arte italiana del dopoguerra, ma non così nota al grande pubblico. Quali opere si possono ammirare?
Definire l’Arte non è mai semplice come non lo è far comprendere quali siano le differenze che permettono di riconoscere un’opera d’arte moderna rispetto ad un’opera d’arte antica. Il Seicento e il Settecento segnano un’esplosione di genio che lancia i suoi dorati lapilli: Caravaggio in primis accende il lume del più toccante naturalismo, seminando seguaci in Italia e oltre confine. La decisa volontà di reagire agli artefici del Manierismo porta molti artisti ad accostarsi nuovamente e più direttamente alla cultura classica, della quale si apprezzano purezza, semplicità e ideale di bellezza. Si elabora una nuova maniera che ripudia le bizzarrie, le complessità e gli effetti virtuosistici, senza rinunciare alla grandiosità e all’eloquenza delle composizioni. La ricerca razionale mira a forme semplici, ma contraddistinte da una grazia che si traduce in un equilibrio e in una compostezza quasi idealizzate. L’Arte Moderna è un grande capitolo identificato in un secolo (fine XIX-metà XX) di idee rivoluzionarie che traslitterano in opere d’arte. Un periodo florido di nuovi movimenti artistici e tecniche innovative in cui la società subisce una trasformazione radicale. In questo momento, si cominciano a sviluppare le cosiddette Avanguardie e ci si stacca dalla tradizione figurativista che informa di sé l’800. Fioriscono le correnti artistiche alternative che si oppongono all’arte classica: l’arte diventa un ‘fatto comune’.
Nella seconda metà degli anni Quaranta del ‘900, il netto distacco dalle Avanguardie moderne informali ed astratte prende voce attraverso il movimento “Pittori moderni della realtà” nelle figure di Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni, Antonio Bueno, Xavier Bueno, Alfredo Serri, Giovanni Acci e Carlo Guarnieri, atti a promuovere un’arte legata alla tradizione figurativa. Per dipingere in maniera classica, bisogna avere una conoscenza non indifferente della grammatica pittorica; per creare un impianto compositivo di ispirazione moderna, bisogna attingere alla propria e profonda genialità istintiva. L’arte antica e l’arte moderna, se messe a confronto, suscitano questo sentimento tanto diverso quanto comune a tutti i fruitori: “un fascino senza tempo”.
Non mancherà un occhio anche al contemporaneo: oltre a rendere fruibile tutto il Castello, il progetto prevede anche un’immagine più nuova della struttura, affinchè si possa distinguere dalla percezione comune delle case-museo. Stiamo lavorando a delle incursioni con l’arte contemporanea che possano dare il senso di vitalità.
Perchè avvicinarsi a questa inusuale quanto emblematica mostra?
Perchè trattasi di un’esposizione con un’accentuata forza espressiva, di profondo vigore dinamico, e assoluta compostezza che va a delineare specifiche identità simboliche ed artistiche proprie di una passionale foga d’espressione legata all’essenzialità esecutiva. La lucida maturità artistica di questi pittori “moderni” fa delle loro opere una “guida di viaggio introspettivo”, un racconto simbolico del secondo dopoguerra (1947/1949) che conducono alla loro anima e al loro vissuto, allo studio del concetto del vero sublime. Vero naturale che Pietro Annigoni (Milano, 1910 – Firenze, 1988), artista tra i maggiori dell’Italia di metà Novecento, appartenente al gruppo dei “Pittori moderni della realtà”, grande ritrattista, ha saputo rappresentare. Ogni “pittore della realtà” rivela una grande importanza per il disegno e per la resa tecnico – stilistica, rifiutando molti loro contemporanei caratterizzati da visioni più avanguardistiche: la loro arte viene infatti rifiutata dagli astrattisti che realizzavano opere non legate visivamente alla realtà.
Riconosciuti dalla critica contemporanea i più grandi esecutori pittorici del XX secolo in grado di competere alla pari con i più grandi pittori di tutti i tempi, rimangono nella storia dell’arte come contestatori di un’epoca buia. Dipingono come i grandi del passato trascinandoci in una realtà fatta di suggestioni metafisiche, ma anche di ricerca psicologica introspettiva. Tutti i soggetti sono rappresentati in dimensioni reali e naturali al culmine dell’azione che li contraddistingue. Dinnanzi ad ogni opera vi è un massimo coinvolgimento emotivo per lo spettatore che diviene parte dello spazio virtuale del quadro. Il piano dello spazio pittorico e quello della realtà si fondono a questa volontà che funge da trade d’union tra i vari piani prospettici. Le caratteristiche naturali e reali della luce e del colore raggiungono una materialità quasi materica e tangibile. Così ogni dipinto diventa parte integrante a prosecuzione naturale dello spazio architettonico. Il concetto della luce naturale implica un’illuminazione che proviene sempre da una fonte esterna al quadro, posta solitamente in alto a sinistra. Questi pittori moderni hanno la peculiarità di lasciare la preparazione visibile intorno alle figure per usarla come linea di contorno o guida per realizzare le ombre.
Intervista a cura di Sara Stangoni