27 Mag 23 Management delle destinazioni turistiche: il fenomeno degli affitti brevi
In questo approfondimento ho voluto, come anticipato in quello precedente, entrare in un terreno a dir poco scivoloso: il rapporto, dal punto di vista del management delle destinazioni turistiche, tra hotellerie ed affitti brevi. Questo tema è alquanto dibattuto tra chi, gli albergatori, ritengono sleale la concorrenza degli affitti brevi (polemiche spesso centrate sulla sola leva di marketing del prezzo) e chi, i proprietari di immobili, ritengono più proficuo e sicuro questo modello di business rispetto a quelli tradizionali.
Dal punto di vista del destination management entrambi i punti di vista meritano una riflessione (oltre che pieno rispetto dell’esigenza di ognuno di portare a casa la pagnotta). Fintanto che il fenomeno degli affitti brevi non era ancora emerso, c’era sicuramente un mercato turistico per questi immobili: prevalentemente trattavasi di seconde case offerte ad amici, parenti e conoscenti per brevi periodi di vacanza. Per il resto del tempo rimanevano vuoti. Sicuramente ci sono casi di proprietari che, scottati da episodi spiacevoli sostenuti da leggi che tutelano gli inquilini, ancorché morosi, o studenti, ancorché rumorosi o poco attenti al mobilio, hanno deciso di riprendersi gli spazi ed adattarli ai nuovi turisti provenienti a fiumi dalle piattaforme di “home sharing” internazionali. Il mercato immobiliare per decenni ha prodotto, almeno in Italia, su rendite più basse finanche dei buoni del tesoro, rendendo possibile solo ai grandi investitori la possibilità di concentrarsi su questa attività.
Il fenomeno degli affitti brevi ha mantenuto una rendita più o meno simile a quella della locazione tradizionale (fonte: https://www.millionaire.it/affitti-brevi-ce-spazio-per-entrare-nel-business/) ma, grazie alle organizzazioni di property managers, ha democratizzato il sogno di diventare “rentier” anche con poche proprietà. Soprattutto se gli immobili si trovano in aree a vocazione turistica, balneare, naturalistica ma in particolare nelle città d’arte, non vi è paragone tra i due modelli di business (tradizionale e affitti brevi turistici): il secondo assicura maggiori entrate, minore usura, zero rischi di gestione ed una continuità garantita dalle risorse che il territorio mette a disposizione da quelle culturali ai servizi fino ai trasporti ed agli eventi.
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Sempre secondo l’articolo precedente, concetto ripreso anche in questo (https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2023/01/04/turismo/), i motivi per i quali risultano oltre 6 milioni gli immobili vuoti in Italia sono molteplici, ma ben pochi attendono al loro uso a fini turistici (si parla di solo il 10% degli stessi). Più spesso si tratta di eredità mal gestite o di proprietà di persone che, spesso per scelta, non hanno alcun interesse tantomeno necessità di avere una fonte di reddito supplementare soprattutto se questa presenta, eventualmente, i rischi sopra descritti circa la locazione immobiliare.
C’è però un fenomeno nuovo che si affianca alla progressiva “aerificazione” delle destinazioni turistiche italiane ed alla decrescita demografica (e nemmeno questo ha a che vedere con la concorrenza rispetto agli alberghi): la crescente consapevolezza da parte di fasce sempre più ampie di popolazione che essere un “rentier” (definito dall’inglese come chi vive di rendita) non è poi così tanto denigrabile anzi, rispetto alla corsa forsennata verso la produttività e la digitalizzazione e contro il sentire comune che sostiene che è socialmente apprezzato chi si profonde nel lavoro e riempie la sua vita “a tappo”, consente di avere del tempo libero per sè, per seguire i propri hobbies e dedicarsi alle proprie passioni. Senza entrare in scelte radicali alla “mollo tutto”, l’idea di combinare in modo sostenibile il tempo dedicato al lavoro e quello per se stessi sta diventando sempre più necessario per riequilibrare i ritmi e tornare a sentirsi in sintonia con la natura e con se stessi. Ed allora perché fare gli straordinari in ufficio quando posso affittare di tanto in tanto quella seconda casa al mare o l’appartamentino ereditato in paese (nel frattempo divenuto meta turistica)?
Quindi, piuttosto che affrontare il tema dal punto di vista di mera concorrenza all’interno di un variegato panorama di offerta turistica (su questo si veda in particolare lo studio di Sociometrica https://www.sociometrica.it/sites/default/files/Report_alberghi_vs_affitti_brevi.pdf per conto di Federalberghi per entrare maggiormente nei dettagli), il gestore della destinazione turistica, in particolare quello con responsabilità pubbliche, dovrebbe confrontarsi con i propri concittadini ed entrare nel dettaglio delle loro aspettative e prospettive, ponendo grande attenzione ai cambiamenti generazionali proprio su queste tematiche. In realtà territoriali segnate dalla deindustrializzazione, o anche dove essa ancora resiste, la mobilità lavorativa sta raggiungendo livelli mai conosciuti (oltre 1,6 milioni di dimissioni nei primi 9 mesi del 2022 fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/lavoro-grande-fuga-16-milioni-dimissioni-9-mesi-AEsSV6YC ) dovuta in particolare a cambiamenti epocali proprio sulle prospettive di futuro derivanti dai redditi da lavoro piuttosto che da quelli da rendite patrimoniali od immobiliari, quindi sempre più persone ritengono la rendita una opportunità insostituibile di realizzazione umana ancor prima che professionale.
Da ultimo, per chiarire, ritengo che alberghi ed affitti brevi non siano concorrenti in quanto a target di utenti cui si rivolgono, ma questo, dopo le riflessioni di cui sopra, credo conti poco.
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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini
Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.