Pubblicato in Dal mondo dei musei, News
16 Apr 23 Monastero di Fonte Avellana: uno scrigno di bellezza e sobrietà naturalistica
È un luogo intriso di arte e storia che offre le ricchezze della sua tradizione spirituale e culturale. Quando si arriva al Monastero di Fonte Avellana, nel comune di Serra Sant’Abbondio, provincia di Pesaro e Urbino, si rimane colpiti dall’originale struttura architettonica e dalla bellezza che attira per la sua semplicità. È situato alle pendici boscose del monte Catria, alle spalle delle colline di Pergola e Sassoferrato. Le sue origini si collocano intorno al 980, quando alcuni eremiti scelsero di costruire qui le prime celle di un eremo che nel corso dei secoli diventerà l’attuale monastero.
La pietra, di cui è costituito, crea un habitat del tutto unico: il chiostro, la chiesa con la cripta, la sala del Capitolo, lo splendido Scriptorium, le celle dei monaci, la foresteria e la Biblioteca, nobili e austeri ambienti che si stringono attorno alla massiccia torre campanaria ed ospitano ancor oggi i monaci camaldolesi. Dal 2007 anche il Giardino Botanico del monastero è aperto al pubblico.
Entrando nei suoi spazi, si viene avvolti da un profondo silenzio. Si sente il proprio respiro e si trova la quiete e la pace. È un abbraccio invisibile di energia spirituale che vuole salutare, proteggere, elevare. Ancor più se si sceglie di vivere l’esperienza di dimorare nella cella, seguendo la piccola regola di San Romualdo che prevede di rimanere seduti in cella a pregare e a ruminare i salmi.
Per informazioni sulla visita del monastero > https://fonteavellana.it
La storia del Monastero di Fonte Avellana
La spiritualità dei primi eremiti fu influenzata da San Romualdo di Ravenna, padre della Congregazione benedettina camaldolese. Egli visse e operò fra il X e l’XI secolo in zone vicinissime a Fonte Avellana, quali Sitria, il monte Petrano, e San Vincenzo al Furlo. Eretta abbazia nel 1325, Fonte Avellana divenne una potenza socio-economica e nel 1392 conobbe la pratica delle commende (XIV-XV sec.), ossia l’affidamento dei benefici o dei beni di proprietà di un monastero o di un’abbazia a persone estranee, per lo più di alto rango ecclesiastico o civile, al solo scopo di far la fortuna di queste. Fonte Avellana restò “commendata” fino a quasi tutto il 1700 ed anche se alcuni commendatari come il Card. Giuliano della Rovere e Giulio II lasciarono segni di carattere edilizio ed abbellimenti del tutto degni di nota, nondimeno risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti, motivo per cui la decadenza della sua vita monastica, anche se lenta, fu inesorabile.
Tale declino si concluse con la soppressione napoleonica del 1810 e di lì a poco quella italiana del 1866. Fonte Avellana, tuttavia, ha continuato a vivere ed oggi, tornata ai monaci camaldolesi, ha ritrovato, oltre alla bellezza austera delle sue strutture architettoniche, anche quella fede e quella cultura che l’hanno contraddistinta fin dalle sue origini.
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Fonte Avellana e Dante Alighieri
Una tradizione antica vuole che il Sommo Poeta Dante Alighieri sia stato al monastero di Fonte Avellana nel 1318, anno in cui era in esilio nella vicina città di Gubbio ospite di Bosone di Gubbio. E cantò il monastero nella Divina Commedia, precisamente nel canto XXI del Paradiso:
“Tra due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che i troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria”
Paradiso, canto XXI
La prestigiosa biblioteca del Monastero
Fatta allestire nel 1733 dall’Abate D. Giacinto Boni di Forlì, grande amante delle scienze e delle lettere, oggi la Biblioteca del monastero contiene quasi tutto il patrimonio librario antico di Fonte Avellana. È costituito da circa 20.000 volumi tutti stampati a partire dalla scoperta della stampa (il libro più antico è un incunabolo del 1470) fino alla fine del XIX secolo.
Nello Scriptorium, risalente al XIII secolo, gli amanuensi, utilizzando la luce solare per tutta la giornata, grazie alla fitta e alta serie di ampie monofore che si aprono nella volta a botte dell’edificio, ricopiavano gli antichi manoscritti arricchendoli di artistiche miniature. La maggior parte dei codici manoscritti dal 1500 si trova alla Biblioteca Vaticana, trasferiti dall’abate commendatario Giuliano della Rovere. A Fonte Avellana ne sono rimasti soltanto undici tra cui il Codice NN dell’XI secolo, un prezioso breviario e documento dell’evoluzione delle notazioni musicali, a cui una tradizione orale vuole che abbia posto mano lo stesso Guido da Pomposa.
La prestigiosa biblioteca moderna del monastero custodisce, invece, circa 10.000 volumi di contenuto prevalentemente teologico, letterario, filosofico, storico e patristico. È stata allestita nel 1965 nel VII centenario della nascita di Dante Alighieri ed è intitolata, appunto, al Sommo Poeta.
È possibile consultare il catalogo informatico della Biblioteca antica e moderna del Monastero presso la Rete Servizi Bibliotecari di Pesaro e Urbino > link qui