10 Mar 24 Scegliere o cambiare una destinazione turistica: come si può gestire la crisi da pulsione emotiva?
Venti di guerra, epidemie, calamità naturali, fatti politici rilevanti, attentati. Tutti questi e tanti altri paurosi fatti di cronaca sono all’ordine del giorno. I giornali per fare notizia azzardano titoli a volte fuorvianti che incidono sulla vendita degli stessi (più sulle letture online ormai), traendo in inganno i lettori più superficiali (tutti noi visto che l’attenzione media nella lettura di un testo cala già dopo 9 secondi). Quei lettori sono anche potenziali viaggiatori che si trovano, sempre più spesso soprattutto relativamente a destinazioni dove accade qualcosa di tragico, nella fase di ispirazione per la scelta della prossima destinazione di un weekend o di un periodo di nomadismo digitale. In quella fase, vista l’ampiezza dell’offerta e la concorrenza agguerrita, due righe di titolo di giornale (ma anche meno, basta un post sui social media o una recensione molto negativa) fanno scartare la destinazione senza possibilità di appello. Con buona pace di tutti gli investimenti in promozione e marketing, basta una pioggia più abbondante che iniziano a fioccare le disdette. Certamente questo approccio puramente emotivo all’acquisto di servizi turistici ha origini molto varie: dalle OTA che spingono sul far accettare alle strutture ricettive aggressive politiche di cancellazione gratuita fino a pochi minuti prima del check-in fino alle attività promozionali totalmente legate all’emotività (copiandosi a vicenda con le case automobilistiche tanto che non è più chiaro se si propone un raid in 4×4 nel deserto o il nuovo modello di SUV urbano).
La pulsione emotiva come strumento di promozione di un viaggio rende l’industria turistica molto fragile di fronte agli eventi cui accennavo all’inizio di questa riflessione. Piove? Cancello, che ci vado a fare. Fa molto caldo? Cancello, mica vado a buttarmi in quel forno. Un cameriere ha starnutito? Questo è l’inizio di una pandemia, meglio evitare. Io stesso ammetto di aver cambiato spesso i miei piani per motivazioni rivelatesi, ex-post, ininfluenti. Ho evitato di andare in Francia una volta perché era il giorno delle votazioni per le presidenziali in quanto temevo una nuova rivoluzione (con tanto di presa della Bastiglia, si intende!), un’altra volta perché temevo che i gilet gialli (ora vanno più di moda gli agricoltori col trattore) mi bloccassero in strada. Lo scorso anno, se ricordate, il ministro della salute tedesco Karl Lauterbach ha pronosticato la fine dei viaggi in Italia per il troppo caldo invitando i suoi concittadini, senza dirlo, ad andare in Grecia, in Spagna o in Croazia tra l’altro tutti territori alle stesse latitudini dell’Italia e dove il caldo torrido è ben frequente (sperimentati di persona 42 gradi a Siviglia il 23 aprile e 48 gradi a Lefkada a fine giugno).
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Ebbene, di fronte a tutto questo cosa può fare un avveduto amministratore della destinazione? Elenco qui di seguito una serie di considerazioni che possono essere d’aiuto. La prima è che se abbiamo piani di rischio ambientale quali quelli per la gestione dei fiumi (idrogeologico), piani di rischio sanitario come quello messo in atto durante il Covid-19, perché non dovremmo avere un piano di rischio per la gestione delle emergenze che potrebbero coinvolgere i turisti? Un esempio concreto sono i piani per la gestione degli eventi cui partecipano molte persone che possono costituire un pericolo durante l’evento ma che hanno bisogno di spostarsi, mangiare e dormire sul territorio. Il solito problema che non si trova parcheggio alla sagra di paese… ma più in grande! Una seconda considerazione è relativa alla collaborazione tra pubblico e privato nello scambio di informazioni chiare e tempestive a tutela degli ospiti ma anche degli ospitanti (cioè dei residenti). Un esempio concreto è l’addetto alla reception che ti comunica di rimanere in hotel per l’arrivo di un ciclone tropicale o la guida turistica in un Paese a rischio sicurezza che cambia il programma di visita per evitare un assembramento. Una comunicazione chiara e trasparente alle persone chiave (guida, autista, receptionist) rende la gestione dell’emergenza più semplice e riduce le crisi d’ansia del turista che si sente in balìa degli eventi, lontano da casa e senza certezze. Questo senso di frustrazione, se ben gestito, è il migliore degli strumenti di marketing perché quando si racconta di un viaggio agli amici, oltre agli episodi più divertenti, sono le disavventure a tenere banco e le peripezie vissute per uscirne. Questi passaggi rendono un amico, che si è fatto un weekend, un eroe cavalleresco che ha affrontato mille avventure e queste storie, dopo anni, sono le uniche che vengono raccontate. Il fratello di un’amica di lunga data è tornato da Phi Phi Island con le sole mutande addosso per via dello tsunami del 2004. Pur nel caos più totale per l’immane tragedia il popolo thailandese lo ha sceso dall’albero cui è rimasto aggrappato per ore, vestito, sfamato ed aiutato a tornare a casa sua in Sardegna. Se intervistassimo un aereo intero di turisti diretti a Phuket od a Koh Samui (in base alla stagione) ben pochi si ricordano di quel 26 dicembre. L’accoglienza dei thailandesi, unita ad una unitaria strategia di comunicazione, ha fatto tornare i turisti molto prima di quanto sarebbe successo altrove.
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MARKETING TERRITORIALE
Rubrica a cura di Marco Cocciarini
Laureato in Economia del Turismo, è consulente di sviluppo innovativo strategico e tecnologico per il destination management turistico in particolare su progetti di cooperazione internazionale e locale. È stato business developer di alcune delle più celebri startup italiane in ambito turistico ed è attualmente responsabile territoriale della loro associazione nazionale.