Nel mondo sempre più connesso in cui viviamo, tutto ciò che regola la vita dell’uomo è diventato simbolo di una globalizzazione in continua espansione, compresi il turismo e il fast fashion. Tuttavia, esiste un lato oscuro di questa faccia, in cui gli effetti della globalizzazione possono rivelarsi tanto benefici quanto distruttivi.
Il turismo è stato da tempo un motore chiave della globalizzazione, consentendo ai viaggiatori di esplorare nuove culture, scoprire luoghi lontani e creare legami interculturali. Parallelamente, l’industria del fast fashion ha sfruttato i diversi processi per diffondere rapidamente le ultime tendenze di moda in tutto il mondo, offrendo abbigliamento economico e alla moda a un pubblico sempre più vasto. Questa connessione tra turismo e moda del fast fashion sembra prosperare, ma ciò che spesso sfugge all’attenzione è l’impatto ambientale e sociale che questo mix può comportare.
Mentre i viaggiatori esplorano il mondo alla ricerca di esperienze uniche, spesso si ritrovano a essere influenzati dalla moda in modi sorprendenti. Sicuramente è capitato a tutti – durante una visita in una città straniera – di recarsi in uno dei punti vendita di grandi Brand di moda “a prezzo accessibile”: perché incuriositi nel conoscere la differenza di proposta in loco rispetto a ciò che viene venduto nella propria città natale, perché si aveva l’esigenza di acquistare un capo d’abbigliamento all’ultimo minuto o, più semplicemente, perché quello Store rappresentava un “porto sicuro”, qualcosa di conosciuto, in una città straniera (un po’ come succede ad alcuni italiani quando cercano ristoranti di cucina nazionale in luoghi stranieri).
Secondo questo breve esempio, una delle connessioni più evidenti tra il turismo e il fast fashion sembrerebbe essere proprio l’aspetto dello shopping turistico. Molti ritengono che fare shopping sia una parte essenziale dell’esperienza di viaggio; le destinazioni turistiche in tutto il mondo ospitano una miriade di negozi di moda low cost, offrendo agli acquirenti abbigliamento alla moda a prezzi convenienti, inducendo i turisti ad acquisti impulsivi durante le vacanze, contribuendo al successo del fast fashion.
Il fatto che questi negozi nascano e si moltiplichino soprattutto nelle città conosciute come capitali della moda non è un caso: Parigi, Milano, New York e Tokyo sono solo alcuni dei centri noti per la loro scena della moda. I turisti affollano queste destinazioni non solo per le loro attrazioni turistiche, ma anche per immergersi nell’atmosfera di stile e glamour.
Installazioni di design all’interno dei negozi, Pop-up Store nati nelle capitali della moda, capi che ricordano quelli firmati da grandi brand di lusso e in voga nelle passerelle delle più importanti fashion week del mondo sono elementi che concorrono a un maggior grado di uniformità dei negozi fast fashion secondo linee guida che fino a qualche tempo fa erano prerogativa dei soli negozi di lusso e che rappresentano un’ulteriore attrattiva per i turisti, soprattutto considerando che non tutti i soggetti hanno lo stesso potere d’acquisto e le stesse abitudini di consumo: forse non tutti i turisti sono alto spendenti, ma è probabile che tutti vogliano portare a casa un capo d’abbigliamento che gli ricordi il viaggio fatto.
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Ma qual è il prezzo da pagare per la crescita esponenziale del fast fashion?
Circa 92 tonnellate di rifiuti tessili prodotti all’anno, frutto di un ciclo rapidissimo di fabbricazione con uso intensivo delle risorse naturali che contribuiscono all’inquinamento dell’ambiente. Un esempio eloquente di queste ripercussioni ambientali è evidente nelle discariche di abbigliamento in Cile e in Ghana.
Il deserto di Atacama in Cile (così grande da essere ben visibile anche dai satelliti della base spaziale internazionale) è stato noto per ospitare discariche all’aperto di abiti usati provenienti da tutto il mondo. Questi abiti – alcuni dei quali provenienti da colossi occidentali che si occupano di moda low-cost – fanno dei giri immensi, passando per l’Europa, l’America e l’Asia con la speranza di essere venduti alle popolazioni locali. Il ciclo si arresta nel momento in cui molti di questi rimangono invenduti e, non potendo essere riciclati in maniera corretta a causa dei materiali con cui vengono prodotti, finiscono in queste discariche rilasciando sostanze tossiche nell’aria e rappresentando un pericolo non solo per l’ambiente, dato il massiccio impatto che hanno sul terreno e i corsi d’acqua, ma per tutti gli esseri viventi che si trovano nelle loro immediate vicinanze. Allo stesso modo, in Ghana, si sono verificate gravi conseguenze ambientali dovute al trattamento inadeguato dei rifiuti tessili provenienti dal mercato del fast fashion.
Mi piacerebbe dire che le discariche del deserto di Atacama e dei territori ghanesi sono gli unici esempi di come i brand di fast fashion sfruttano i territori ma non è così: anche in Kenya e in Senegal esistono enormi appezzamenti di terra in cui ciò che rimane invenduto, diviene inevitabilmente rifiuto tessile, con buona pace delle comunità politiche locali e delle organizzazioni criminali.
Questo articolo si avvia verso la conclusione, ma mi piacerebbe spendere qualche altra parola sul tema: la relazione tra turismo e fast fashion è complessa e presenta sfide significative in termini di impatto ambientale. Mentre i turisti contribuiscono all’economia della moda in molte destinazioni, è essenziale considerare attentamente le ripercussioni ambientali negative di questa connessione. Il turismo e la moda dovrebbero lavorare insieme per promuovere scelte di consumo consapevoli e sostenibili, garantendo un futuro migliore per entrambi i settori e per il nostro pianeta.
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Per approfondire:
- Tomáš Ric and Daniela Šálková (2021), Shopping tourism with a focus on the clothing industry in relation to globalization
- Documentario “Una montagna di vestiti – l’impatto nascosto dei nostri rifiuti tessili”
< https://www.youtube.com/watch?v=bLKe6pVp0-k&ab_channel=TheEEBchannel >
- Il Post – La “Fast fashion” di mezzo mondo finisce in questa discarica in Cile
< https://www.ilpost.it/2023/06/07/vestiti-discarica-cile-deserto-atacama-fast-fashion/ > - Retail institute Italy – Shein aprirà 30 pop-up store entro l’anno
< https://retailinstitute.it/shein-aprira-30-pop-up-store-entro-lanno/
Articolo a cura di Giorgia Deiuri